Sta per iniziare in Italia la versione nostrana di Master Chef.
Vivendo all’estero non avrò il piacere di vederla, ma mi devo accontentare della versione francese, dove alle selezioni si sono presentati in più di 20mila per arrivare a 25 candidati.
Ogni settimana è condita da pianti e risate a suon di foie gras e tartufo.
Paradossalmente sto leggendo un libro in cui si parla del master chef originale. No, non il programma della BBC andato in onda la prima volta nel 1990, ma il Certified Master Chef Exam del Culinary Institute of America.
MasterChef ha preso solo il nome dall’originale, visto che non è possibile per un comune mortale anche solo avvicinare questo esame, ma bisogna già essere chef professionisti. Il format ha delle idee che si ispirano però all’originale.
Dobbiamo però fare qualche passo indietro, perché preferisco passare per quella che se la tira pur di raccontarvi tutta la storia per benino.
Nel 2006, quando ho iniziato a pubblicare il mio primo food blog, The Kitchen Pantry, i food blogger al mondo erano veramente pochi. Ma anche coloro che semplicemente si occupavano di scrivere libri inerenti al mondo della cucina che non fossero libri di ricette, si contavano sulle dita di una mano.
Tra i celebrity bloggers del tempo c’era Michael Ruhlman, autore di svariati libri/inchiesta sui retroscena delle cucine e del Culinary Institute of America.
In The Soul of a Chef: The Journey Toward Perfection Ruhlman parla dettagliatamente di uno degli esami più difficili e stressanti del Culinary Institue of America, il Certified Master Chef appunto.
Mistery box, classic cuisine (realizzare ricette secondo le indicazioni di Auguste Escoffier!), regional cuisine sono solo 3 delle prove a cui gli chef professionisti si sottopongono durante i 10 giorni dell’esame. Pochissimi accedono, ancora in meno passano l’esame. Essere un Certified Master Chef può portare fama, aumento di salario o dei prezzi del proprio ristorante. Per alcuni è un esame imprescindibile che prima o poi uno chef deve sostenere, per altri un ‘inutile pezzo di carta che non certifica un bel niente.
L’esame in questione assomiglia di più a TopChef, altro programma culto americano dove si scontrano chef professionisti e non semplici amatori.
Ma pensare che al mondo ci sono persone che pagano per sostenere il Certified Master Chef, senza ovviamente la certezza di passarlo, e passano dieci giorni della loro vita a cucinare per più di 15 ore al giorno, e senza nemmeno la fama che deriva dall’essere davanti delle telecamere, beh, un po’ mi fa sorridere e mi fa pensare a quanto sia facile, grazie alle telecamere, mettere in luce la mediocrità facendola passare per qualcosa di favoloso…
E pensare all’isteria collettiva che tutto ciò provocherà tra i food blogger italiani, oltre che tra i partecipanti, beh, sì, dalle dolci colline a sud dei Vosgi, sorrido, mi mangio un pezzo di munster con un po’ di baguette e penso alla stupenda cena che ci aspetta stasera in uno dei nostri ristoranti preferiti a Basilea, Stucki di Tanja Grandits.
Ho iniziato a vedere il programma italiano e sono un po’ combattuto. Mi piacciono i concorrenti (ovviamente non tutti e faccio il tifo per qualcuno in particolare) ma mi piacciono meno i giudici. Soprattutto Joe Bastianich mi sembra fuori luogo e poco ‘italiano’. Ma come in tutti i reality serve qualcuno che faccia confusione e polemica.
E ad essere sinceri la penso proprio come te: anche nel mondo ‘sacro’ della cucina, le telecamere possono dare una notorietà inutile e dannosa. Alle spalle di tutti quelli che la fama se la guadagnano piatto dopo piatto.
Comments are closed.